COME AS YOU ARE.

Mio marito B entró nella mia vita come un fulmine a ciel sereno.

Io uscivo da una storia che mi aveva lasciata DEVASTATA nell’anima e nella mente. Ora penserete che io mi riferisca a V. con cui sono stata per quasi 5 anni.

NO. Vi sbagliate.

Con V finí per i motivi di cui vi ho parlato ma anche perché nell’ultimo periodo rientró nella mia vita E, una persona di cui cercheró di parlare il meno possibile perché non merita spazio in questa mia “stanza personale”. Io ed E. ci conoscemmo da appena maggiorenni su uno dei primi social network esistenti. Non ci fu mai una vera e propria storia tra noi. Lui mi voleva semplicemente quando non poteva avermi per farla breve. Si intrufolava nella mia vita ogni volta che avevo una relazione e non lo mettevo più sul piedistallo. Andó avanti per una decina di anni con questo modus operandi. Quando con V. le cose caddero a pezzi e io scoprii un tradimento, mi riavvicinai ad E.

Questa volta ci frequentammo seriamente (o per lo meno io credevo) ed io mi innamorai. Per lui come al solito invece, era un gioco, ma ora non avevamo più 20 anni, non ero più una ragazzina così facilmente manipolabile e gli diedi un out out. Sparí nel nulla lasciandomi nella disperazione più totale. Fu anche per quello che partii per le ferie con le amiche.

Volevo solo divertirmi con loro e non pensare più agli uomini. Incredibilmente, in breve tempo, tra una nuotata ed un aperitivo, metabolizzai il tutto, mi resi conto che avevo avuto a che fare con un narcisista, egoista ed incapace di empatia e sentimenti e fu più facile riprendermi perché avevo perso il rispetto nei suoi confronti.

B., mio marito mi corteggió come nessun uomo aveva fatto. Capii subito che era una persona speciale e fu proprio per quello che lo allontanai.

Era, ed é ancora, bello, intelligente, acculturato. Un uomo con il valore della famiglia e del vero amore. É anche una persona molto forte, che non si perde mai d’animo, uno stakanovista che spicca in qualsiasi lavoro si cimenti. É simpatico ed ironico, modesto e generoso.

Dopo sei mesi si trasferì a casa mia e nemmeno due anni dopo il primo incontro diventammo marito e moglie.

All’epoca non si perse d’animo quando non rispondevo al telefono o mi rifiutavo di vederlo fino a che seduti ad un tavolo gli spiegai perché non potevo uscire MAI PIÙ con nessuno. Ero malata, e non avrei potuto essere il tipo di donna che meritava. Non pronunciai la parola borderline, giammai, rimasi vaga, ma si evinceva dalle mie parole che la mia situazione psicologica fosse grave. Sorprendentemente lui non si tirò indietro ed anzi incominció a cercare di “curare la mia anima”.

Tutte le mie delusioni amorose, tutte le relazioni tossiche, tutta la frustrazione ed il dolore, tutto l’amore che avevo sprecato, B. riuscii a sciogliere TUTTO come fa la neve al sole.

Questa fu la prima canzone che mi dedicò, ed io tutt’ora quando la ascolto mi lascio scappare un sorriso.

LE DISCESE ARDITE E LE RISALITE.

Non ricordo più nulla da allora, avevo circa 21/22 anni credo. Qualche psichiatra mi cambió la cura del Dottor M. e la continuai per anni. Nel frattempo sono certa che continuavo a vedere sempre LEI, la Dottoressa C. per la psicoterapia.

Mi sembra che avessi 24 anni quando conobbi in un’anonima serata V. Lui ne aveva 30 e mi corteggiò. Aveva una bella auto, un buon lavoro, era serio ed acculturato. Decisi che era giunto il momento di “mettere la testa a posto” e ci fidanzammo. Viaggiammo tanto, mie crisi permettendo. Ne ricordo una in particolare sulle Ramblas a Barcellona. Ero ingrassata nuovamente con i farmaci e il caldo di agosto mi diede alla testa. Mi facevo schifo, non accettavo il cambiamento del mio corpo e spesso le crisi erano causate da questo. Restammo gli ultimi 3 giorni chiusi in albergo con le tapparelle abbassate mentre io non capivo cosa mi succedeva. Andavamo a tantissimi concerti, cene e mostre.

Io nonostante tutto, nel frattempo, decisi di frequentare un’Accademia di Cinema e Moda che era sempre stata una mia grande passione. Terminai gli studi e mi offrirono subito un lavoro presso una grande multinazionale americana.

Mi dicevo che era questa la vita vera, un fidanzato ed un lavoro.

Mi trasferii in un’altra città e presi casa con due colleghe. Rifiorii. Persi tutto il peso senza problema e sfiorai l’anoressia. Lavoravo continuamente e non avevo il tempo materiale per mangiare. Ero entusiasta, ero davvero convinta che sarei riuscita a fare carriera. Finiti i sei mesi di contratto mi offrirono un indeterminato a 260 km da casa con la promessa che una volta si fosse liberato un posto vicino sarei stata ritrasferita. La sera stessa mi dissociai, ebbi una depersonalizzazione.

Questa condizione duró qualche giorno. Accettai il trasferimento e nel giro di una settimana mi ritrovai a vivere sola in un’altra regione in un monolocale che costava più della metà del mio stipendio. Lavoravo, lavoravo e lavoravo. Non mangiavo e dopo la fine del turno me ne tornavo a casa e pensavo alla morte. Nei giorni liberi prendevo il treno e tornavo a trovare V.

Nel frattempo le cose tra di noi peggioravano. Mi rendevo conto che non mi mancava anche se non mi ero mai guardata intorno. Scoprii dei lati del suo carattere che mi disgustavano. Era un razzista, misogino ed egoista, un bambino mai cresciuto che dopo 5 anni viveva ancora con mamma e papà.

Non avevo voluto vedere queste cose all’inizio perché volevo la “normalità” a tutti i costi.

Girai altre due città nel giro di un anno e finalmente mantennero la promessa. Mi avvicinai a casa e lasciai V poco tempo dopo. Andai in ferie con le amiche e al mio ritorno conobbi casualmente il mio attuale marito in un bar.

Lui arrivó dal nulla e in poco tempo salvó la mia anima perduta facendomi conoscere per la prima volta nella vita il significato di AMORE SANO.

FADE TO BLACK

Una volta uscita dalla clinica io e M. diventammo una coppia.

Vivevamo in due città diverse e io guidavo più di 60 km per stare con lui qualche giorno a settimana dato che non frequentavo più l’università e lui era in aspettativa dal lavoro. Sua madre mi accolse come una figlia ed era molto felice dell’influenza positiva che avevo sul figlio. Io stavo molto meglio, ero abbastanza forte per stargli vicino e andare con lui dallo psicologo. Rigó dritto per un po’, anche se frequentavamo le sue vecchie amicizie e lui riusciva a non ricadere nelle vecchie abitudini. Poi un giorno il suo atteggiamento cambió, sparí nel nulla e mi lasciò. Soffrivo molto nel vedere le foto che la sua ex che si fingeva mia amica postava con lui su Facebook. Sua madre continuava a chiamarmi disperata perché lei non era una ragazza raccomandabile.

Nemmeno una settimana dopo, la sua sorellastra mi scrisse un lapidario messaggio su Facebook: M é morto.

MORTO.

Odiavo un morto.

Ora non avrei più potuto alzare il telefono e dirgli quello che pensavo sul suo tradimento.

Una sera con i suoi amici assunse droghe e si sentì male, loro per paura della polizia non chiamarono i soccorsi e lui morí in un anonimo appartamento.

Ricordo solo il funerale, crollai a terra. Di fianco a me lei, A. la “cattiva ragazza poco raccomandabile”. Lei cercó la mia mano ed io vomitai.

La stessa settimana o quella dopo non ricordo morí anche la mia amata nonna materna. Pur sforzandomi non riesco a ricordare se fosse estate o inverno, non ricordo né mese né anno.

Mia nonna era come una seconda madre per me e mi ha cresciuta. Era classe 1917 circa ma riuscii a comprendere la mia diagnosi. Mi stava vicina anche quando presa dai miei scoppi d’ira le dicevo cose schifose. Gli ultimi anni li ha passati in una struttura e io presa dai miei problemi di salute sarò andata a trovarla forse tre volte.Non le sono stata accanto nella sua terribile agonia in ospedale.

Ricordo che dissi al prete che non era lei quella nella bara e iniziai ad urlare.

Poi da lì più nulla, i miei ricordi spariscono e fanno un grandissimo salto temporale. Tutt’ora ci provo a mettere insieme quegli anni ma se ne sono andati per sempre.

Certo, li rivorrei indietro, mi appartengono ma allo stesso tempo ne sono terrorizzata.

https://youtu.be/GLvohMXgcBo

WHERE IS YOUR GOD NOW?

BORDERLINE,

questa parola mi infastidiva e lo fa ancora. Ora nel 2020 lo chiamano anche DISREGOLAZIONE EMOTIVA.

Fa meno paura detta così vero? Io la vedo diversamente. La vedo come una grande paraculata. Non so se riesco a spiegarmi ma per me é come dire operatore ecologico invece che spazzino, diversamente abile invece di handicappato.

Credono forse che faccia meno male cercando di abbellire la terminologia? NO

Per me é e rimarrà sempre BORDERLINE con tutto ció che comporta. Dissociazioni, panico, difficoltà a gestire, accettare e addirittura riconoscere le proprie emozioni, DOLORE COSTANTE dell’anima e della mente.

Ma facciamo un passo indietro e torniamo alla clinica. Continuai ovviamente a seguire le cure del Dottor M. ma violai una regola fondamentale e questo lui non lo sa. Mi innamorai, presi una cotta o come volete chiamarla per un altro paziente.

Lui si chiamava M., aveva qualche anno più di me ed era lì per disintossicarsi. M. era oggettivamente un bel ragazzo, ma quello che più mi colpii di lui fu la sua intelligenza e la sua triste storia. Non era un bucomane, aveva problemi con la cocaina. Inizió quando dopo il nonno, si suicidó anche il padre e lui era convinto di essere predestinato alla stessa fine. Non faceva apprezzamenti volgari sul mio conto come gli altri, parlava sottovoce ed era educato e gentile. Incominciammo a scriverci e nacque un rapporto epistolare e quando ci incontravamo passavamo il tempo a parlare e a leggere.

Nel frattempo, io chiesi al Dottor M. di essere dimessa qualche giorno prima perché fui molto spaventata dal comportamento di un’altra paziente. Non vi ho parlato di quella che che voleva picchiarmi perché secondo lei ero bella ed entrava nella mia stanza blaterando che mi avrebbe accoltellata. Non avevo affatto paura, sono cresciuta facendo a botte con altre ragazze e sono molto brava a difendermi. C’era questa mia vicina di stanza di cui “mi fidavo”, parlavamo e ci confidavamo. Era “normale” fino al giorno in cui mi disse che secondo lei il marito la drogava e faceva venire a turno i suoi amici a casa per violentarla. Chissà, magari era anche vero ma io rimasi SHOCCATA, e finalmente con il benestare del Dottor M. e la cura nella mia mani, il mio mese di prigionia finí e tornai a casa.

LA DIAGNOSI: QUELLA VERA

Non volevo e non potevo più aspettare. Avevo provato a seguire la Dottoressa del CSM che era davvero molto brava ma non aveva abbastanza tempo da dedicarmi. Smisi praticamente di mangiare e riuscii anche a perdere tutto il peso preso e rientrare in una taglia 40.

Decisi che non avevo scelta e chiesi di essere ricoverata in un’altra clinica di cui avevo sentito parlare. Temevo per la mia vita.

Io e i miei genitori tenemmo un colloquio con la Direttrice Sanitaria. Era una donna elegante e distinta, molto attraente e ispirava fiducia. La clinica, a differenza della prima, era suddivisa in vari reparti a seconda della “gravità” dei pazienti e delle loro diagnosi. All’epoca ricordo che me ne fecero una decina: depressione, disturbo dell’umore, disturbo istrionico della personalità e tante altre.

Io non ci credevo. Non rispondevo alle cure e aprendo il dsm almeno 10 volte al giorno non trovavo nessuna vera connessione con i miei sintomi. Volevo una VERA diagnosi. Mi disse che purtroppo il reparto “meno grave” era pieno e avrei dovuto aspettare. Le risposi che non potevo e facemmo un accordo. Lei mi avrebbe ricoverata, ma avrei dovuto “soggiornare” nel reparto più problematico e perché no anche pericoloso.

Accettai subito, non mi importava, non avevo più paura di niente se non di me stessa. Passó circa una settimana ed entrai.

Questa clinica era molto più nuova e soprattutto pulita. Mi assegnarono addirittura un Dottore che mi avrebbe seguita. Aspettai di conoscerlo.

A questo punto della storia entró in gioco il Dottor M. La prima volta che lo vidi ammetto che pensai che fosse troppo giovane per seguire il mio caso, ma con il passare del tempo mi sono dovuta ricredere. Avevamo dei colloqui costanti e per la prima volta conobbi uno psichiatra che mi ascoltava e addirittura mi guardava in faccia senza scrivere. Per me era una cosa completamente nuova. Gli raccontai di tutte le reazioni avverse avute con i farmaci e lui comprese le mie paure. Conquistó la mia fiducia e io iniziai la terapia che lui credeva giusta per me.

Era la prima volta che mi fidavo davvero di un Dottore. Ebbi delle crisi diverse volte e lui se era in turno mi riceveva e parlavamo. Ero felice nonostante il contesto. Ma poi felice non lo fui più quando il Dottor M. fece la sua diagnosi: Disturbo Borderline di personalità. Niente depressione o cazzate varie.

Ero B-O-R-D-E-R-L-I-N-E

Non avevo mai sentito questa parola in vita mia.

Lo traducevo letteralmente e mi chiedevo: “al confine di che? Tra normalità e pazzia? Ero dunque destinata ad impazzire?”

Lui mi spiegò di cosa si trattava ma non riesco a ricordare la conversazione. Tornata in camera aprii Google ed incominciai a fare ricerche. Non trovai NULLA di incoraggiante. Non esisteva una vera e propria cura, potevo solamente tenere i sintomi sotto controllo. Finalmente però ritrovavo me stessa nei punti elencati nel dsm.

Come avevo fatto a non accorgermene? E ora cosa sarebbe successo?

Avrei mai avuto una vita “normale”?

https://youtu.be/5anLPw0Efmo

These wounds won’t seem to heal, this pain is just too real

There’s just too much that time cannot erase.

“My Immortal” – Evanescence

ROTTA PER CASA DI DIO.

I ricordi di quel periodo sono molto vaghi.

La clinica dove fui ricoverata era nella mia città. Era fatiscente e cadeva a pezzi. Ricordo che ero in camera con almeno altre 4 donne.

Mi pare che i medici fossero gentili con me ma non ne sono sicura, proprio non riesco a ricordare. In quel posto desolato erano ricoverati sia uomini che donne di ogni tipo di età e background.

Un tizio aveva addirittura incendiato casa propria, credo uccidendo qualcuno. Un’altra aveva fatto talmente tanti elettroshock che vagava tutto il giorno in camicia da notte e parlava con la pioggia.

Conobbi una signora che mi regalava sigarette.

All’epoca non fumavo, ma ho cominciato. Ho sempre detestato i fumatori. Nessuno poteva fumarmi accanto e rovinare il profumo del mio shampoo.

Ho cercato di proteggere la mia sanità mentale come meglio potevo.

Scrivevo, dipingevo, mentivo.

Mentivo agli amici che mi credevano in ferie. Non potevo dire a nessuno la verità.

Venne qualche volta a trovarmi LEI. Di LEI ne parlo solo ora perché faccio fatica ad inserirla nel giusto spazio temporale. LEI, la Dottoressa C., psicologa e psicanalista mi aveva in cura da circa sei mesi o un anno all’epoca.

Mi ero decisa a prendere sul serio la psicoterapia. All’inizio ebbi un colloquio con SUA MADRE che lavorava nello stesso studio, ma dopo avermi ascoltata mi disse che non poteva curarmi e mi “rimbalzó” alla figlia.

Ad oggi la ringrazio ancora per il suo rifiuto. In ogni caso la Dottoressa C. merita un post tutto per sé, ed anche una statua a Cittá del Vaticano.

Una volta dimessa ci indirizzarono al Dottor G2, psichiatra di grande fama nazionale. Lo ricordo un uomo distaccato, pieno di sé e con zero empatia. Il suo studio rifletteva la sua pochezza d’animo. Freddo più di una casa scandinava.

Ci fu un ennesimo cambio di cura.

Per non farmi mancare nulla quel farmaco che mi prescrisse mi devastó il corpo. Diventai OTTANTA kg in poco tempo e avevo il fegato distrutto. Quando lo informammo se ne lavò le mani e non rispose più al telefono.

Io continuai la psicoterapia con la Dottoressa C. con i nostri due appuntamenti settimanali e mi affidai al CSM perché non sapevamo più dove sbattere la testa.

Ma cosa facevi nel frattempo direte voi?

Lasciai l’università ovviamente, le lezioni di filologia germanica non sono semplici da seguire, figuriamoci in certe condizioni.

LEI per me c’era SEMPRE peró. Era la mia ancora, il filo che mi faceva restare attaccata alla vita.

Nel frattempo le mie relazioni interpersonali si fecero sempre più degradate. Frequentavo persone che facevano uso di sostanze e frequentavo uomini poco raccomandabili.

Un giorno mi svegliai e mi sentii come ipnotizzata. Presi la macchina e andai dritto dove mi diceva la mia testa.

Andai in chiesa.

Avevo bisogno di DIO.

Guidavo piangendo per la città e urlavo che sarei morta.

Ora può far ridere ma all’epoca fu come se mi avessero sparato. Non c’era nessuno in chiesa. Nessuno con cui parlare.

Capii che anche Dio mi aveva abbandonata, non solo la medicina.

Volevo uccidermi MA prima avevo bisogno che qualcuno mi dicesse cosa stava succedendo.

Non volevo morire senza una diagnosi.

LA PRIMA VOLTA CHE SONO MORTA.

Mia madre ci ha sempre visto lungo anche se non é un medico. Aveva capito che non stavo avendo un infarto, un ictus o via dicendo.

In pochi secondi ha dovuto riflettere, prendere una decisione.

Da quel che ricordo mi caricó in macchina a forza e cominció a girare fino a che io non sono crollata.

Scelse di non portarmi in ospedale. Aveva paura che mi rinchiudessero nel reparto psichiatrico.

Il giorno seguente mi sono svegliata nel mio letto.

Ero PARALIZZATA.

Avevo le vertigini e non riuscivo nemmeno a muovere la testa.

Le tende erano tirate, tutto era buio. Sentivo parlare al di fuori della mia stanza.

Aveva chiamato il Dottor B, il suo medico di base. Il Dottor B aveva lavorato come minimo trent’anni in ospedale e aveva grandissima esperienza.

Lo ricordo con affetto, sempre umile e gentile.

Mi visitó e ricordo solamente che provó a spiegarmi quello che secondo lui era successo. Disse che il mio cervello in poche parole aveva avuto un collasso e che inviava al mio corpo dei sintomi non reali come la paralisi e le vertigini. Mi prescrisse un integratore specifico per il cervello.

Dopo qualche giorno peró la situazione non era cambiata. Mi portavano in bagno in braccio e iniziai a non mangiare più.

Ritornammo dallo psichiatra, il Dottor C, che mi prescrisse il mio primo vero psicofarmaco.

Un antidepressivo.

Ricordo come fosse ieri quella notte. Andai nel letto dei miei genitori cosicché mia madre potesse tenermi d’occhio durante la notte.

Fu un “viaggio”.

Mi ricordo che vidi lo spazio, stelle e pianeti e passai una delle nottate più strane della mia vita.

Dopo un mese di trattamento riuscii a rialzarmi, i primi giorni aiutata dalle stampelle perché ero molto provata. Ci volle molto per recuperare.

Con la morte nel cuore mi iscrissi ad una scuola per privatisti per poter prendere il diploma in tempo.

Ovviamente non studiai nulla. Mi preparai i due giorni prima dell’esame. La mia mente era di nuovo li, superai tutto con il massimo dei voti e mi diplomai.

I miei ricordi a questo punto si fanno sempre più sfocati.

Mi iscrissi all’università ma incominciai a vivere una vita completamente sregolata.

Alcool, droghe, sesso ed incidenti stradali.

Ho distrutto 3 auto nel giro di un anno e rischiato la vita molteplici volte. Ho guidato sotto effetto di sostanze stupefacenti quando ero ancora minorenne e i miei genitori subirono l’umiliazione di vedermi accompagnata a casa dai carabinieri.

Finii in cura dal Dottor G., era uno psichiatra, un uomo di successo, avvenente e sicuro di sé, al limite del narcisismo. Non mi ha guardato UNA VOLTA negli occhi nel suo studio mentre gli parlavo. Stava chinato a scrivere e si limitava ad imbottirmi di psicofarmaci.

Peccato che una notte mi sentii male con un nuovo farmaco. Finii al pronto soccorso, e ricordo che era estate. Non fecero NULLA, mi dissero di darmi una calmata e che il mio cuore era a posto quando così NON ERA.

Lo chiamammo il lunedì ma lui disse che non poteva aiutarmi perché doveva partire per le ferie e l’unica cosa che poteva fare era ricoverarmi in una clinica psichiatrica per trattamenti riabilitativi intensivi.

Così fece e li una parte di me morí definitivamente.

L’ULTIMO SABATO SERA.

Quinta superiore.
Partecipo ad un “contest” scolastico (una specie di Erasmus) e vinco.
Arrivo prima in tutta la scuola e sono felice.
Avrei potuto scegliere una destinazione europea a mia scelta dove passare sei mesi a studiare.
Non ho dubbi e scelgo Dublino.
Solo pochi giorni e la felicità si trasforma in ansia.
Non avevo mai preso un aereo e ne ero terrorizzata. Ho sempre avuto pura della morte fin da bambina.
Non voglio perdere questa occasione e mi rivolgo ad un sedicente psichiatra.
Mi prescrive delle benzodiazepine da prendere qualche mese prima della partenza.
Inutile dire che non sono mai partita perché é esplosa LA BOMBA.

Era un sabato sera come tanti.
Mi stavo preparando per andare a ballare con le amiche.
Mi accorgo di sentirmi strana. La testa era leggera e pesante allo stesso tempo.
Mi spavento e il mio primo istinto é stato quello di correre in bagno per guardarmi allo specchio.
Mi avvicino e mi perdo dentro i miei occhi.
Provo a mettere a fuoco ma non ci riesco.
Mi sale un terrore mai provato, la testa é troppo piena e vuota allo stesso tempo.
Mio padre é sul divano a guardare una partita di calcio.
Con fatica lo raggiungo e le gambe mi cedono.
Cado a terra ed inizio ad urlare fortissimo.
Non so spiegare cosa mi succede.
Abitiamo vicino alla guardia medica, in due minuti arriviamo.
Entriamo ma non riesco a smettere di urlare.
Arrivano un dottore e un’infermiera che mi chiedono cosa mi sento ma non riesco a rispondere.
Non mi provano nemmeno la pressione, mi dicono solamente di non fare la maleducata e di smettere di gridare.

Non mi aiutano, non fanno niente.
Rimangono fermi a fissarmi.
Io inizio a piangere disperata chiedo aiuto ma nulle, non si scompongono.

Mia madre mi porta via a forza.
Cammino a fatica, con il braccio dietro le sue spalle.
Ad un certo punto il mio corpo non risponde più.
Cado in ginocchio sul marciapiede, alzo gli occhi al cielo e vedo la luna piena.

Chiedo a Dio di uccidermi in fretta e poi solo buio.

LA CHEERLEADER CHE PIANGEVA.

Gli anni nel frattempo passavano, medie, superiori.
Continuavo ad eccellere senza particolari sforzi a scuola ed anche nella vita sociale.
Alle superiori in particolar modo divenni quello che sognano tutte le ragazze guardando le cheerleader delle serie tv americane in tv.
I ragazzi più grandi facevano a gara per chiedermi di uscire.
Pesavo 50 kg, avevo una quarta naturale, capelli biondissimi fino al sedere. Non portavo più gli occhiali che tanto mi avevano fatto soffrire.
Ero sbocciata.
Me ne stavo sempre con altre due ragazze, eravamo le api regine, tutte e tutti ci ammiravano e ci temevano.
Nonostante la “popolarità” a scuola non perdevo un colpo, incassavo un dieci dopo l’altro (anzi un 100 all’epoca) dal diritto, all’ inglese, dalla matematica al francese.

NESSUNO sapeva che era tutta una facciata.

NESSUNO sapeva dei tagli sotto le maniche lunghe.

Quando non ero fuori con gli amici passavo le giornate chiusa in camera al buio ascoltando i Nirvana e pregavo di morire.
Leggevo continuamente “Christiane F – noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” e sognavo una vita come la sua.

Avevo anche dei rituali.

Mi chiudevo in bagno a chiave.
Spezzavo la prima parte del taglierino, la bruciavo con un accendino e passavo tutto sotto l’alcool denaturato.
Poi incidevo sul mio braccio parole o frasi come “sadness” “tristezza” o “betrayal”(tradimento).

Un giorno mio padre mi trovo almeno trenta coltelli sotto il cuscino.

Ero irascibile.
Spaccavo oggetti, lanciavo cose, picchiavo mia madre.

I miei genitori continuavano a portarmi dagli psicologi ma non solo li prendevo in giro, tutti loro dissero che a 16 anni ero troppo giovane per assumere farmaci e si rivelò tutto inutile.

Ovviamente non si parlava di diagnosi.

Ero solo ribelle, viziata e disturbata.

https://youtu.be/hEMm7gxBYSc

#dsm #salutementale

L’ETA’ DELL’ INNOCENZA RUBATA.

Da quello che ricordo tutto ebbe inizio intorno ai 7/8 anni.
Avevamo da poco cambiato casa.
Ospitavamo quel giorno una riunione di famiglia e all’ improvviso dissi a mia madre che avevo qualcosa incastrato nella gola.
Fui molto specifica, dissi “ho dei capelli incastrati che mi stanno facendo soffocare”
Mi portò di corsa in camera da letto e mi controllò con una torcia.
Le vie respiratorie erano libere.
In quel periodo pubblicizzavano alla tv l’uscita del film IT.
Quel clown mi terrorizzava, smisi addirittura di suonare il pianoforte perché proprio in quel periodo stavo studiando “Per Elisa” di Beethoven e veniva utilizzata durante la pubblicità del film.
Incominciai ad aver paura di tante cose, ma forse paura non é il termine giusto.
Correvo intorno al tavolo del salone urlando terrorizzata, non si sa da cosa.
Incominciai a non riuscire più a deglutire.
Per mesi e mesi non ho mangiato cibi solidi ma solo yogurt da bere e spremute che facevo accuratamente sezionare da mia madre.
Ricominciai a mangiare solo quando un medico mi disse in malo modo che sarei morta.
Fu un periodo pieno di controlli e alla fine finii in psicoterapia.
La psicologa era una donna.
Di lei non ho ricordi.
Visualizzo solamente uno studio enorme con soffitti a cassettoni, legno e cupo dappertutto.
Mi sembra che mi guardasse giocare ma potrei sbagliarmi.
Nel frattempo a scuola ero sempre la migliore.
Eccellevo anche nella ginnastica artistica ed amavo allenarmi.
Finite le lezioni scolastiche saltavo il pranzo per fare subito i compiti, nessuno mi obbligava a farlo.
Nonostante quello che mi succedeva ero la solita bambina iperattiva, giocavo sempre in giardino con i miei amici e mia madre faticava a farmi rientrare per cena.
Alle volte però, smettevo di giocare all’ improvviso invece e me ne andavo a letto.
Mi chiedevano se avessi litigato con qualcuno ma io dicevo che ero solamente stanca.

A OTTO anni ero stanca.

La mia vicina di casa dell’epoca con cui passavo tutto il mio tempo libero era causa di stress per me, ora me ne rendo conto.
Tutt’ ora incontrarla mi infastidisce e cambio strada se la incontro.
Aveva un anno in più di me ed era bellissima.
Io mi sentivo brutta, mi odiavo, avevo una massa di capelli ricci indomabili, non ero alta quanto lei e portavo gli occhiali.
La veneravo e la odiavo allo stesso tempo.
La invidiavo.
Non solo all’ epoca era più bella di me ma aveva anche una famiglia perfetta.
I suoi genitori erano molto più giovani dei miei e presto le diedero una sorellina.

Mi sentivo sola.

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